Pizzo Camarda e Cima N.O. delle Malecoste, affilate creste di fronte ai giganti del Gran Sasso


Questo week end ho per così dire rotto le uova nel paniere a Giorgio (GdS) che aveva progettato una escursione sulle Cime Trento e Trieste e qualche altra cima minore limitrofa nel gruppo del Velino. Mi perdonerà e magari nella sua affascinante ironia mi farà bersaglio di qualche sfottò propedeutico. Me li sono meritati. Temevo lunghe ravanate di avvicinamento e cercavo e volevo qualcosa di più speciale. Sentivo l’esigenza di Giorgio e Luca di conquistare qualche cima nuova, di vedere nuovi scorci. Ho cercato di unire le stesse esigenze mie del tutto simili alle loro ed ho agitato il sacchetto come a cercare il numero della tombola. La proposta del Camarda e dell’ultima cima Nord delle Malecoste l’ho fatta prima timidamente a Luca che ha accettato elettrizzato; forse è stato lui a sostenere la mia causa o forse no, forse è stato il fascino del Gran Sasso o forse no, forse sono state le previsioni meteo che promettevano una sfavillante giornata di sole o forse no ma sta di fatto che Giorgio non si è fatto pregare e che un passaparola tra amici di Giorgio e di Aria Sottile e tra amici degli amici la mattina alle cinque ed un quarto al solito parcheggio della Metro, classico luogo di appuntamento dei montanari romani, ci siamo ritrovati in nove. Un gruppo di nove persone! Non ricordo se altre escursioni abbiano mai avuto così tanti sostenitori; la cosa già da sola dava un piglio notevole ed una carica particolare alla giornata. Aria Sottile allargava la sua base di sostenitori; frequentatori del web come Marco, MDN11 per chi condivide lo spirito Aria Sottile nel web, diventavano finalmente volti, vecchi marpioni della montagna come Mauro (Trechiodi per il popolo del web e della montagna ) e Luigi si sono uniti a noi e con loro gli amici, Annalisa e Domenico. Giorgio e Luca con me, veterani di Aria Sottile completavamo l’allegra brigata. Di filata verso il primo caffè della giornata in vista delle montagne; area di servizio dell’Aquila dove la nota fama di buongustaio nonché di grande conoscitore dell’aquilano di Giorgio mi convincevano all’acquisto di una scorta consistente di pasta di grano stranissima nel formato e incorruttibile alla cottura. Vi farò sapere la prova del palato nelle prossime recensioni. Prese le necessarie confidenze con i nuovi, si sa noi italiani con le gambe sotto il tavolo o in piedi davanti al bar diamo decisamente il nostro meglio, rompiamo gli indugi e filiamo a recuperare l’ultimo partecipante della giornata: Federico che ci ha dato appuntamento direttamente all’uscita di Assergi. Ci siamo! Pochi chilometri ancora in direzione del Passo delle Capannelle ed in vista del piccolo borgo di San Pietro allo Ienca parcheggiamo a bordo strada. Una consultazione veloce se attaccare la montagna da questo lato oppure dalla carrareccia qualche chilometro più avanti ma le veloci azioni a smontare gli zaini dalle auto da parte dei più avevano dato già risposta e forse annullato le velleità di chi non se la sentiva di attaccare così direttamente la parte nord delle Malecoste. Certo devo dire che nessuno ha manifestato perplessità; 1150 metri di dislivello, tutti davanti a noi, tutti a vista come un infinito piano inclinato non hanno scalfito minimamente il morale di chicchessia. In un quarto d’ora siamo già pronti e alle 7 e 10 siamo già a camminare in ordine sparso sulla montagna. Che bello sentire così tante voci su primi pendii della montagna, che bello il vedere formarsi gruppi diversi, disfarsi e riformarsi in un fiume di ilarità e sorrisi, confronti e racconti. Il gruppo così nuovo ed eterogeneo in pochi istanti è diventato una entità consolidata e collaudata come se da sempre fossimo usciti insieme. La mia intenzione era quella di ripercorrere lo stesso tracciato che avevo avuto la fortuna di provare qualche anno fa, con Giorgio e Alessandro, su per lo Iaccio di San Pietro. Ero rimasto affascinato dalle formazioni rocciose di un tratto di quel canale, un po’ discoste dalla cima ma meno ripido rispetto alla linea retta verso la vetta, e volevo condividerlo con i miei amici. Una quasi fuga in solitaria di Luca e Federico che hanno preferito la dorsale di cresta, all’incirca una direttissima del Camarda, ci ha distolto dal progetto ed in ordine più o meno sparso abbiamo aggredito il pendio. La neve ormai era sparita lasciando posto alle prime timide viole; la linea di innevamento da questo lato assolato della montagna era ormai ben sopra i 2000 metri per cui i problemi di salita erano solo l’affaticamento e la resistenza al costante infinito pendio. Qualche piccola corona di roccia alle quote intermedie ci ha permesso di giocare un po con la montagna e di godere di qualche balcone privilegiato dove stupirsi del panorama. Eravamo sul fianco delle Malecoste, un muro enorme ma meno ripido di quanto non sembri guardandolo dal fondo valle. Una sosta tacitamente decisa e condivisa da tutti ci ha permesso di riprendere fiato. Luca e Federico ormai votati alla fuga riprendono la corsa verso l’alto; ci domandiamo se abbiano avuto modo di osservare e godere ciò che avevano intorno. Con più serenità partiamo anche noi e sempre senza un sentiero tracciato ed in ordine sparso sul fianco della montagna saliamo senza indugiare gran che. Salendo la cresta si stringe e si pronuncia un pò , si fa rocciosa con piccoli salti comunque facili da percorrere; che li aggira e si trova a percorrere una larga conca leggermente innevata, chi decide di salirla. Marco e Domenico che si fermano spesso per cercare profili familiari nelle montagne lontane ed ogni tanto chiedono conferma delle loro intuizioni, hanno una silenziosa riverenza verso gli orizzonti che lentamente conducono lo sguardo sempre più lontano; Trechiodi è un fiume incontenibile di parole e di entusiasmo come fosse un ragazzino alla sua prima esperienza, che bello farsi trascinare dalla sua voglia di vivere la montagna, Federico e Luca sono già sulla cresta, in vista della vetta, so quale meraviglioso paesaggio sta passando davanti a loro occhi e conosco la luce che, sono certo, si sarà impossessata dei loro sguardi; Annalisa sta avanzando silenziosa e tenace, in perfetta sintonia con gli altri, non voglio più sentir parlare di sesso debole; Luigi in questo lungo pendio sta forse rimpiangendo le sue adorate placche e Giorgio è il solito diesel instancabile, col passo costante ma inesorabile. Per un attimo in questo frangente si è aggiunto a noi Giorgio, il nostro Mr Spit; ha voluto esserci, partecipare in qualche maniera, salutare tutti e con una telefonata ha aggiunto partecipazione e calore alla già perfetta giornata che si stava delineando. Che peccato che non ci sia stato davvero su quelle coste a godere di questo grande successo del suo gruppo. Chi aveva scelto la via più semplice della conca, si è trovato in alto a doversi cimentare con pendii ancora innevati ma comunque facili da gestire; chi ha scelto la cresta sassosa è salito gradualmente e tutti più o meno insieme, tranne i due fuggitivi della giornata, ci siamo trovati intorno alle 10 e 20 al cospetto della bella croce di vetta sul Camarda, con le quinte del Gran Sasso completamente spalancate alla bramosia degli sguardi e con la linea di cresta del vertiginoso picco del Camarda e del vuoto della valle sottostante a soli due passi . Ricordavo uno spettacolo così bello, e lo era ancora di più condividerlo con tanti amici. La valle, ma anche le montagne che avevamo di fronte, l’imponente Corvo, l’appuntito Intermesoli, le leggere, al cospetto dei colossi vicini, Cime Falasca e Venaquaro , La cima delle Malecoste con la entusiasmante cresta senza nome che la unisce al Falasca, ed il lontano imponente Corno Grande erano ammantati di bianco, ancora in perfetta tenuta invernale. A nord trionfava la massiccia Laga a guardia dell’azzurro e colmo lago di Campotosto; la linea naturale e selvaggia della Val Charino sotto di noi ci convogliava naturalmente lo sguardo. Di qua e di la della valle le dorsali dello Ienca/San Franco da una parte e Monte Corvo dall’altra. Era entusiasmante stare lassù; ci rendevamo conto che eravamo dei privilegiati a stare in quel posto, una poltrona in prima fila in uno dei palchi più belli dei nostri monti. Federico e Luca arrivati per primi, per primi decidono di togliere gli indugi e si buttano alla conquista del nostro secondo obiettivo; noi , tutti gli altri, non ancora sazi di tanto bello intorno indugiamo ancora e ci lasciamo contagiare dalla voglia di fermare il tempo. Poi ci tocca andare, i due soliti fuggitivi sono già sulla sella, lontani. Scendere dal picco fino alla sella sottostante verso sud ha rappresentato qualche fastidio solo a chi per prudenza aveva deciso di montare i ramponi; pochi passi sicuri nei pendii infidi a nord e completa assenza di neve una volta aggirata la cresta. Il sole nei giorni scorsi aveva fatto il suo implacabile dovere. Quando noi, scesi dal ripido versante sud del Camarda raggiungiamo la sella, Luca e Federico raggiunti da Trechiodi e Giorgio, alle 12 esatte, sono già sulla Cima Nord Ovest delle Malecoste. Saranno costretti ad una lunga sosta; il percorso fino a loro di per se facile e breve era un trionfo di audaci creste che chiedevano solamente di essere fotografate, di strapiombi verso valle che meritavano gli affacci, di una vertiginosa vista della verticalità del Camarda che non lasciava alcun dubbio sulla consistenza dell’appellativo “pizzo”. Fantastica cavalcata verso la seconda cima e trionfante sosta finalmente senza pressione alcuna e sfiziosamente culinaria sulle sue asciutte propagini. Un grazie in quel momento va a Domenico che ha tirato fuori dal suo zaino due meraviglie della sua terra molisana: un paio di salamini, uno piccante ed uno magrissimo che l’unica cosa che hanno fatto rimpiangere è stato il non avere a portata di mano una bel fiasco di Chianti, o, da buon marchigiano e, tanto per non apparire di parte, di Rosso Conero. Il sole che picchiava e la quasi assenza di vento favorivano una generale goliardia e leggerezza. L’attenzione veniva attirata dalla cresta ripida e ardita che saliva verso la cima delle Malecoste, difficilmente si riusciva a distogliere lo sguardo dalle linee di quella montagna. Credo che in qualche momento ognuno di noi un pensierino per andare ad assaggiare l’effettiva arditezza di quella cima l’abbia fatto. Intanto Annalisa ne aproffittava per flirtare col sole e si “apparecchiava”, testa sullo zaino e con un asciutto e morbido cuscino erboso sotto, a favore di sole per la prima tintarella della stagione. Le foto di rito concludevano la giornata d’alta quota e, cosa strana, mai mi è capitato di dover combattere con l’inquadratura a causa del folto numero di soggetti da doverci far entrare. Era un peccato doversi muovere da quella cresta, si stava vivendo un memento perfetto di amicizia nel mezzo di un angolo di mondo stupendo, ma gli impegni di Giorgio e la bramosia di montagna che era stata soddisfatta un po in tutti ci ha mosso verso il ritorno. Cinquanta minuti di pigro rilassamento in vetta e alle 13 meno 10 prendiamo a scendere dentro il canale sottostante, una ampia valle innevata ancora pesantemente che scende direttamente dalla sella delle Malecoste. E’ facile e veloce scendere, la neve ci fa affondare quel che basta per trattenere il passo e non scivolare; in un attimo scendiamo i primi trecento metri di quota, entriamo nel punto più stretto del canale; a tratti la neve è già sparita ma negli imbuti più stretti lo strato è ancora consistente e anche gelato. Lontano, sotto, Luca, Federico e Giorgio prendono velocità buttandosi in scivolata come bambini in un parco giochi; a noi non va di bagnarci e continuiamo a camminare ma la tentazione per Domenico è troppo forte; salta, corre, gioca con la neve e foriera una caduta si trova a scivolare come i nostri apripista giù sotto. Scoppia l’amore per la neve e per il gioco in lui. Diventa la felicità in persona e la comunica tanto che Trechiodi arriva al punto di “inventarsi” una caduta. Mi fila vicino come un razzo, non fa nulla per fermarsi, gioca come un bambino di cinquantasei anni e sul suo viso solo il grande sorriso di chi sta vivendo un momento di leggerezza. La neve finisce, poi ritorna ed insieme, Domenico e Trechiodi reinventano nuove scivolate, fino all’ultimo centimetro di manto bianco disponibile. I loro sguardi bastano per capire quale sia lo stato d’animo del gruppo in quel momento. Poco più su Luigi ed Annalisa scelgono linee più prudenti e “più adatte all’alpinismo”. Il pendio si attenua, la strada di fondo valle si avvicina velocemente, ora serve fare solo un traverso per raggiungere le nostre auto, lontane ancora, ma ormai a vista. Saltiamo un tratto di intricati ginepri e capisco finalmente perché quando ci si caccia in situazioni complicate si una il termine “ginepraio”, fino a ritrovare il sentiero utilizzato la mattina. Ormai ci siamo, pochi balzi ancora e siamo sulla strada. Alle 14 e 25 smontiamo le attrezzature e riprendiamo la “vita civile”. Giorgio e Luca filano veloci verso l’appuntamento della sera e ci salutano per primi; Annalisa e Luigi continuano il flirt col sole sospeso in vetta, qui viene meglio ancora, la temperature è di quelle che favoriscono anche la pennica; io, Mauro, Marco e Domenico ci concediamo un intermezzo culturale andando a visitare la vicina chiesetta di san Pietro allo Ienca, (allo Jenca, allo Ienga? Va a sapere come chiamare davvero il luogo, in tre cartelli attigui tre modi diversi di chiamarlo!); alla spicciolata e non senza un pò di malincuore ci separiamo tutti senza non esserci prima promessi di ritrovarci ancora tutti insieme in qualche angolo di Appennino. Luogo di appuntamento immediato lo concordiamo sul forum di Aria Sottile per i commenti sulla giornata e per le proposte delle prossime uscite. E’ stato bello conoscere i nuovi come avere le conferme sui veterani. Lo spirito di Aria Sottile ha pagato ancora in un’altra indimenticabile giornata di montagna.